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Xi Jiping: l’autorità del Presidente in salsa di soia

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Negli ultimi tempi I quotidiani si sono ampiamente occupati della riforma cinese che ha abolito il limite massimo dei due mandati presidenziali dando di fatto a Xi Jiping la possibilità di essere leader della Cina a vita, così come era accaduto a Mao.

Tra le priorità di Xi sul piano della politica interna vi è quella, sin dall’inizio del suo mandato, della lotta alla corruzione e agli illeciti finanziari.

All’estero Xi ha intrapreso una politica di espansione dei commerci attraverso il cosiddetto “One Belt One Road”, rilanciando così le Vie della Seta, marittime e terrestri, investendo somme da capogiro in più di ottanta Paesi nel mondo.

Invece la Cina guidata da Xi propone proposte di sviluppo da sottoporre ai partners con contropartite di carattere economico ( particolarmente materie prime nei paesi in via di sviluppo ), investimenti e acquisizioni (molto gradite quelle di carattere tecnologico negli altri), evitando di imporre il Washington Consensus.

Queste considerazioni si inseriscono in un più ampio movimento mondiale che vede nelle democrazie, in primis in quella americana ma anche in alcuni paesi europei, la prevalenza di leader populisti e al contemporaneo rafforzamento di autocrati in altri paesi.
Inoltre, la stessa Europa Unita è governata da burocrati che non sono stati eletti, così come molte delle istituzioni occidentali che tanto influiscono sulle decisioni economiche, con le relative ricadute sociali, quali l’Onu, la World Bank, il FMI, la BCE.

Una possibile chiave di lettura di tutto ciò è che, di fronte al mondo sempre più complesso e interconnesso, con incertezze radicali e fenomeni di continue emergenze (migrazioni, distruzioni di posti di lavo a causa delle nuove tecnologie, squilibri nella distribuzione della ricchezza, percezioni di estremi cambiamenti climatici), i cittadini preferiscono affidarsi a leader forti, o che lanciano messaggi di “forza” rassicurante, volti a dare a ciascuno la risposta alle proprie paure.

Negli Stati Uniti abbiamo visto il fenomeno Trump, espressione di una plutocrazia.
In Europa sono forti i sentimenti populisti, con la crescita di partiti e movimenti diversi con connotazioni antisistema e “il popolo” al centro del dibattito o programma elettorale.
Anche i paesi europei ricchi, per tutti la Germania della Cancelliera Merkel, soffrono di disaffezione da parte dei votanti per i governi in carica, e tendono a politiche di chiusura ai fenomeni dell’immigrazione o degli impegni internazionali in missioni di pace, e comunque a tutti gli accordi di cooperazione globale.
In Gran Bretagna abbiamo avuto il fenomeno Brexit.

Quello che appare evidente è la richiesta diffusa di leader forti, autorevoli e, pazienza, se autoritari, che spiega il successo del miliardario Trump, il gradimento elevato di Putin, il rispetto per il nazionalista hindu di Modi, l’approvazione che gode Abe e quello di Xi (di cui tutti ricordiamo l’applaudito discorso pro globalizzazione all’apertura di Davos del 2017).


Note biografiche sull’autrice:

Stefania Tucci si è sempre occupata di finanza, come advisor di importanti gruppi internazionali.

Il suo sito ufficiale è: www.stefaniatucci.com

Leggi l’articolo originale (pubblicato su Formiche) qui: Hi Jinping (e gli altri) ed il dilemma del limite al potere.

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